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Tradizioni Scomparse

Il Banditore

L'usanza del Bando si perde nel tempo e come in tutti i paesi, anche a Vasanello, vi era un pubblico "Banditore" che con la sua voce chiara e potente e con la sua trombetta di latta intimava il silenzio, nelle case e nelle strade, per l'annuncio di una notizia . Il Bando consisteva quasi sempre nella comunicazione dello smarrimento di una chiave, di un monile d'oro (Rarissimo), di un animale o di qualsiasi altra cosa, prevedeva anche notizie importanti. Si ricorda con simpatia la figura dell'ultimo Banditore di Vasanello, il popolare "Renato".

I più anziani hanno vivo anche il ricordo del banditore "Maggiolino", fratello maggiore di Renato, e di "Cioretto" padre dei due; quindi adirittura una intera dinastia si è succeduta nel Bando. I luoghi da dove veniva lanciato il Bando venivano scelti dal Banditore di volta in volta e di solito erano: l'inizio di un vicolo, sotto un lampione o comunque dove dove poteva essere ascoltato da più persone possibili. I Bandi in genere venivano comunicati all'ora di cena, quando tutti gli abitanti del paese erano in casa ed avevano la possibilità di udirlo.

Non c'era conversazione, per quanto importante che fosse, che non venisse interrotta dal suono delle due note della trombetta. Ecco come era concepito un Bando in dialetto Vasanellese:

" Si fa sapere che...
chi avesse trovato una chiave maschia...
la riportino a mene...
che avranno più che mancia !".

Oppure se si trattava di una comunicazione pubblica:

" Si averte i' popolo...
stasera sariunischino tutti sa la piazza di' giardino...
che ce sarà un comizio ".

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Gli Altarini

Fin dai tempi lontanissimi nel nostro paese è sempre stata radicata la fede e la devozione alla Madonna e non a caso la nostra principale Chiesa è dedicata alla Vergine Maria, come pure altre Chiese minori come quella della Stella e della Madonna delle Grazie. Proprio alla Madonna è legata una dolce tradizione che chi non ha un'età troppo verde ricorda benissimo e che oggi è quasi totalmente scomparsa; quella degli altarini. All'inizio del mese di Maggio nelle piazzette, nei rioni, nei vicoli, sorgeva come per incanto un'edicola incorniciata di verdura o di ginestra in fiore, al centro della quale era posta un'immagine della Madonna. Al calar della sera, per tutto il mese di maggio, con l'aria dolce della primavera le donne ed i bambini di ogni rione si raccoglievano presso l'altarino più vicino, dove brillavano lumini ad olio, per pregare e cantare. Quei cori risuonavano nella notte ed una delicata armonia si diffondeva nell'aria suscitando ovunque un senso di pacata nostalgia.

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© Copyright Foto - Andrea Di Palermo - (Dic. 2004)

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Purtroppo questa dolce tradizione col mutare dei tempi è praticamente scomparsa. Forse una delle tante cause potrebbe essere stata la televisione che è entrata prepotentemente in tutte le famiglie e ci tiene tutti chiusi in casa, muti, a guardare il piccolo schermo. A testimonianza di quanto sopra oggi esistono ancora 4 edicole in coccio: la prima si trova in Via Corazza sotto l'arco, la seconda in Via Arco Gentili, entrambe in coccio smaltato risalenti al '400; la terza si trova in Vicolo Cieco, la quarta in Via Roma, quest'ultime due sono in coccio rosso.

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Il Focarone

Sino a pochissimi anni fa la sera della vigilia della festa dell'Ascensione, festa che cadeva sempre di giovedì e che con la riforma è stata spostata alla domenica, era tradizione allestire il "Focarone".

Gli abitanti dei vari rioni del paese organizzavano questa manifestazione con grande cura e passione: Vari giorni prima, ammassavano fascine e legname in gran quantità, creando così una grande catasta di legna da ardere, con lo scopo di superare gli altri rioni.

La sera della vigilia, dopo cena, verso le 22,00 dopo aver acceso lumini e alle finestre ed ai balconi, si riunivano tutti i componenti del rione attorno alla grande catasta di legna e si dava inizio all'accensione del fuoco.

E' inutile dire che questa manifestazione era la gioia di tutti i bambini e il giorno successivo poi, ogni rione si vantava di aver allestito il "Focarone" più grande.

Gli anziani ricordano che, la sera dei focaroni, guardando la montagna del Cimino si godeva di uno spettacolo fantastico perchè l'intera montagna era costellata di una miriade di fuochi. La festa dell'Ascenzione per i nostri predecessori era di enorme importanza religiosa ed a questo proposito è sempre esistito il seguente detto:

" Pe l'Ascensione manco i' l'ucelli portano la 'mpizzata da i fiji ".

Con questa manifestazione, sicuramente di antica origine pagana, si intendeva simulare l'ascesa di Nostro Signore in cielo. Questa tradizione che era quasi completamente scomparsa, è stata ripresa nel 1993 dalla Classe 1954 e tutti gli anni viene regolarmente svolta dalle varie Classi che si succedono nell'organizzazione delle feste patronali.

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Nella Foto "Il Focarone 2008" Organizzato dalla Classe Festeggiamenti 1969
© Copyright Foto - Andrea Di Palermo - Mag. 2008

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Il Bando

Usanza antichissima che si svolgeva nell'ultimo giorno di carnevale nella piazzetta dell'orologio. Il banditore dopo aver chiamato a raccolta un gran numero di persone con il corno, metteva all'asta gli oggetti più disparati che i paesani avevano offerto precedentemente ai festaroli. Tipico era il personaggio del banditore che di solito era una persona spiritosa, spesso anche sboccacciata , che rendeva piacevole la vendita con battute, proverbi e scherzi. Da evidenziare che la carica di banditore veniva gelosamente tramandata di padre in figlio. Tempo fa si è cercato di far rivivere questo momento particolare di vita paesana, ma senza alcun successo.

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Le Satene
(Satene = Satire)

Tipica manifestazione carnevalesca è quella della "satana" (forma dialettale di satira). La satana prendeva di mira le persone che nel corso dell'anno avevano fatto parlare di sè, ne riproduceva in forma caricaturale gli atteggiamenti e le caratteristiche più evidenti.

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Poggiata di San Giuseppe
(Poggiata = Scampagnata)

Questa tipica manifestazione si svolgeva il giorno 19 Marzo, festa di S. Giuseppe. La "poggiata" si svolgeva sui prati circostanti la piccola chiesetta del Santo, sita lungo la strada che conduce a Vignanello. Nel primo pomeriggio, intere famiglie, si portavano in questi luoghi per consumare "la merenda" ed in occasione della poggiata era tradizione tagliare i capocolli nuovi. L'atmosfera era resa festosa anche per le presenze dei venditori di noccioline, dei "porchettari" e "anguillari", oltre alle comitive in cui abbondavano i suonatori di fisarmoniche ed altri strumenti. Soppressa la festività la poggiata oggi è del tutto scomparsa.

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Poggiata di Pasquetta

Tantissimi anni fa, la poggiata in occasione della "pasquetta"; si svolgeva in prossimità della Chiesa delle Grazie. Negli anni '50 fu trasferita in località "Scopiglieto". l'atmosfera era simile alla "poggiata" di S. Giuseppe. Anche questa allegra manifestazione è completamente scomparsa.

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Infiorata Amorosa

E' risaputo che il mese di Maggio è il mese dei fiori, ma anche degli innamorati che di essi si servivano per fare omaggi o dispetti alla donna del cuore. Di notte gli innamorati preparavano, fuori dall'uscio di casa della loro donna, un'infiorata "amorosa" o "dispettosa", a secondo della circostanza.

Nel primo caso l'infiorata era di fiori, che disegnavano piacevoli rime a messaggio delo loro sentimento, il tutto completato da omaggi di frutta o primizie stagionali che venivano appese alla porta di casa.

Nel caso di amore non corrisposto, la ragazza avrebbe trovato, all'indomani, l'infiorata "dispettosa" fatta con semi di "stoppolone" oppure fieno. Anche in questo caso erano frequenti rime; però di sfogo e di scherno: Inoltre, in luogo dell'omaggio di frutta, la ragazza trovava un disegno in calce riproducente un paio di corna.

Anche questa tradizione è totalmente scomparsa.

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Le Serenate

Altra tipica manifestazione amorosa, nella vita paesana di qualche tempo fa, era la serenata, della quale si serviva l'innamorato per comunicare alla ragazza il proprio sentimento. Esisteva una precisa procedura. In compagnia di suonatori e talvolta di un cantante, il giovane si recava sotto la finestra dell'amata, dove faceva eseguire motivi musicali; quattro la prima sera; nel caso la ragazza avesse dimostrato di gradire la precedente serenata; otto pezzi la terza sera e questo faceva comprendere a tutti le intenzioni dei due giovani futuri fidanzati.

Il fine della serenata era quello di preparare il terreno per la dichiarazione amorosa diretta.

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Le Scampanate

Riservate ai vedovi o alle vedove che convolavano a seconde nozze. Nella scampanata si mobilitava tutto il paese; gli abitanti dei vari rioni si procuravano gli oggetti più impensati purchè idonei a "scampanare". Ad una certa ora stabilita, tutti si trovavano in piazza, dove si formava un lungo corteo che si dirigeva verso la casa dei novelli sposi. Aprivano tale corteo delle persone che trascinavano sull'asfalto pesanti e numerose catene, dietro tutti gli altri con campani, sonagli, bidoni, pentole, coperchi che venivano percossi con mazze e bastoni.

Giunti presso la casa degli sposi, continuava la scampanata fino a che questi non aprivano la porta ed offrivano da bere a tutta la compagnia.

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Processione della Madonna de Stà Piazza

Quando i temporali estivi minacciavano i raccolti dei contadini era tradizione percorrere in processione, riservata alle sole donne, le vie del paese cantando:

" Madonna de sta piazza,
fate passà quest'acqua,
quest'acqua e questo vento,
e dimà sarà bon tempo ".

La portatrice dello stendardo era sempre la stessa persona dal momento che anche questo compito veniva tramandato da madre a figlia. Mentre era in corso la processione, era tradizione bruciare nelle case palme benedette con la stessa intenzione di allontanare il maltempo. L'ultima portatrice dello stendardo si ricorda in paese che fu una signora di nome Serafina.

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La Carità dei Morti

Con l'espressione di: "Chi ce fa la carità di' morti, sinnò da quelli vii je cacciamo ill'occhi", i bambini del luogo,il 2 Novembre erano soliti percorrere le vie del paese, bussando di porta in porta e portando un cesto in cui ponevano la "Carità".

Tutti donavano qualcosa: nocciole, noci, mele, uova, salsicce ecc.; i più generosi donavano anche denaro. Il significato di questa usanza è misterioso. E' pensabile che, se questo tipo di questua per i bambini era un divertente passatempo, per gli offerenti era un modo di dimostrare la propria generosità verso chi chiedeva in nome dei defunti.

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La Settimana Santa

I Riti Sacri, che la Chiesa celebrava una volta in occasione della Pasqua, erano molto diversi da quelli attuali.

Senza dubbio erano più rappresentativi, più suggestivi e forse anche più apprezzati. Sicuramente la gente era più credulona e non aveva molti svaghi in quanto non esistevano bar, non c'era la radio e la televisione; la Chiesa era il luogo più indicato per come il Cristiano doveva trascorrere il suo tempo libero.

Dava inizio ai riti della settimana santa, la preparazione dei santi Sepolcri.

Nelle ore pomeridiane i sacerdoti, negli scanni al lato dell'altare maggiore della Chiesa di S. Maria, recitavano lo ufficio delle tenebre, mentre all'esterno del Tempio una turba di "Munelli" eseguivano la battitura con grosse "Pertiche", simboleggiando "La Battitura di Giuda". La mattina del Giovedì Santo, dopo la messa, veniva allestito il Santo Sepolcro ed iniziava il pellegrinaggio del popolo per adempiere al compito della Sacra Visita. Normalmente, oltre al S. Sepolcro allestito nella Chiesa di S. Maria, veniva allestito un Santo Sepolcro anche nella chiesa di S. Salvatore.

Ad Orte, sede della Curia vescovile, il vescovo consacrava gli Olii Santi. Nel pomeriggio veniva ripetuto il rito dello Ufficio delle tenebre e della "Battitura", venivano "Legate" le campane e si introduceva l'uso delle "Revole".

Il Venerdì Santo, al mattino, si svolgeva una suggestiva funzione che culminava con l'adorazione della Croce. Nel pomeriggio, ancora l'ufficio delle tenebre e la "Battitura". A sera inoltrata si snodava una solenne processione che veniva vissuta dall'intera popolazione con fede, devozione, preghiera e raccoglimento come meritava la particolare ricorrenza. La figura di spicco della processione era, come un pò dovunque, il Cireneo. Vestito di bianco, con un cappuccio in testa e catene ai piedi, portando una croce ed uscendo sul portico della Chiesa di S. Maria per incamminarsi lungo il percorso tradizionale, con il caratteristico fruscio delle catene, creava una sua particolare atmosfera drammatica. Per le vie del paese, illuminate da moccolotti, il silenzio regnava assoluto e quasi irreale; al passaggio del Cireneo il silenzio era inevitabilmente rotto da qualche bisbiglio di curiosità: "Chi Sarà ?". Era tradizione infatti che il Cireneo doveva restare anonimo in quanto "Interpretava" la parte per penitenza, per sciogliere un voto di grazie ricevuta o per chiederla in quell'occasione. Il Cireneo inoltre era lo spavento dei bambini a cui veniva indicato come ladro di galline.

Il Sabato Santo, a notte inoltrata, grandi cerimonie culminavano con le funzioni del fuoco sacro, l'acqua Santa e lo scioglimento delle campane che annunciavano Cristo Risorto. Il pomeriggio della settimana Santa i preti lo impegnavano per la benedizione delle case, che allora erano solo quelle del paese vecchio. I casali venivano benedetti dopo la Santa Pasqua.

Molte di queste tradizioni si sono perse nel tempo e non sono state sostituite adeguatamente, anzi da qualche anno si sta perdendo anche la "Santa" usanza di benedire le case con il tacito consenso di tutta la popolazione di Vasanello.

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l'Agonia

Il suono della campana di nove rintocchi, intervallati tre alla volta e suonati molto lentamente, annunciavano che in paese vi era un ammalato gravissimo che era entrato in coma e pertanto soffriva moltissimo per varcare la soglia dell'aldilà.

Con questo suono si invocavano preghiere per il moribondo e comunemente si diceva che suonava il "Pater Noster" per cui ogni buon cristiano era tenuto a recitare questa preghiera per tre volte.

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La Comunione in Extremis

Quando in paese vi era un ammalato grave, se non si sapeva attraverso le chiacchere della gente, se ne veniva a conoscenza quando la grande campana della chiesa di S. Maria lo annunciava con il suono della Comunione in Extremis. Questo avveniva suonando le campane a distesa e lasciando ogni tanto un tocco. Se i tocchi lasciati erano cinque, significava che la Comunione era somministrata ad un uomo. Se i tocchi erano quattro, la Comunione era per una donna.

Due chierichetti venivano immediatamente incaricati di recarsi a casa del malato con una piccola cassettina che conteneva un tronetto sopra il quale, il parroco, avrebbe poi posto, la pisside con le ostie. Ai lati del piccolo tronetto venivano poste due candele accese. Il popolo al suono della campana si radunava fuori della Chiesa per accompagnare Gesù che si recava da un malato. Un sacrista portava un ombrellino bianco per coprire il Santissimo luogo tutto il cammino. Arrivati alla casa del malato, il sacerdote entrava con Gesù, il sacrista e tutto il popolo accorso si genuflettevano fuori dell'abitazione recitando litanie. Il sacerdote somministrava il Sacramento mentre tutti i famigliari del malato pregavano in ginocchio. Al termine della cerimonia il sacrista riprendeva Gesù sotto l'ombrellino ed al canto del "Te Deum" si rientrava in chiesa per concludere il tutto con la benedizione Eucaristica.

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La Morte

All'avvenuto decesso erano strilli di disperazione che si rinnovano quando si presentavano parenti ed amici. Il morto veniva rivestito degli abiti più belli; ai lati del letto venivano accesi duo o quattro ceri, poi da qualche pia donna venivano recitate le preghiere dei defunti alle quali facevano eco tutti i presenti. Iniziava quindi un continuo pellegrinaggio di popolo per rendere l'ultimo omaggio al defunto.

Altre grida di disperazione, dei parenti più stretti, si avevano quando si presentava il falegname per rilevare le misure per la costruzione della cassa. Non sempre era facile trovare le tavole per costruirla, molto spesso, si doveva ricorrere al prelievo delle tavole dal letto del defunto. Molti anni fa addirittura non venivano usate neanche le casse ed i cadaveri venivano avvolti in un lenzuolo e gettati in fosse comuni.

Queste fosse erano situate nelle varie Chiese, che prima erano molto numerose, sembra che a Bassanello ve ne fossero addirittura sedici. I vecchi raccontano che questo accadeva moltissimi anni fa quando il paese fu colpito dal colera. In quel periodo la gente, poco adatta e poco esperta a curare i malati di questa terribile malattia, non appena li vedeva in grave stato di coma e che non davano più segni di vita, senza tanti complimenti, li gettava nelle fosse comuni.

A questo proposito, nel corso di una ricognizione effettuata molti anni or sono nella Chiesa di S. Rocco, fu ritrovato lo scheletro di una donna in piedi e con una "Coroja" in testa che cercava di rialzare la pietra sepolcrale troppo pesante per le sue forze. Molte furono le supposizioni, ma la più accreditata risultò quella che la donna, come tanti altri colpita da colera, in coma profondo ed in stato di morte apparente, fosse stata gettata nella fossa comune della Chiesa. Questo è un fatto molto raccontato dai vecchi.

Riprendendo il discorso sulla morte, si avevano ancora urla di disperazione quando il falegname portava la cassa e quando questa veniva chiusa. Il suono delle campane, a distesa ed i rintocchi lenti poi, chiamava a raccolta il popolo per rendere l'ultimo omaggio al defunto.

In quel periodo esistevano cinque Confraternite e una di queste, quella della Misericordia, con sede nella Chiesa di S. Angelo aveva il compito di rendere l'ultimo saluto ai morti, per questo motivo era definita anche "Compagnia della Buona Morte". Era composta da una trentina di elementi e la loro divisa era una veste bianca con rocchetto e cappuccio nero calato sul volto.

Ai funerali dei più facoltosi, pagando, interveniva anche la banda musicale ed il sacrestano distribuiva candeline da accendersi in omaggio al defunto. L'usanza delle candeline durò molto poco in quanto la gente cercava di accapararsele e spesso vi furono anche furenti liti, d'altronde, una candela a quei tempi faceva estremamente comodo. Allo giungere del prete in casa per la benedizione della salma si rinnovavano le urla dei parenti. Quando il feretro poi veniva prelevato, occorreva la forza dei presenti estranei per strapparlo dalle mani dei famigliari.

Questi poi, non dandosi per vinti, si affacciavano alla porta di casa o alle finestre e con urla cercavano di mettere in risalto tutte le doti del morto in vita, anche se tutte queste doti non corrispondevano a verità. A tale proposito è da ricordare un piccolo episodio per una battuta spiritosa dell'arciprete Don Ferdinando Fabiani.

Saruccia, una vecchietta senza figli ma con un marito a cui spesso piaceva alzare il gomito, con conseguenti liti che spesso degeneravano in busse non meritate, quando morì il marito "Petone", come era di uso si affacciò sulla porta di casa, una abitazione in fondo ad "Arghetto", e tra il pianto e le urla di disperazione disse: "Nicola meo !... Quanto ce simo voluti bè !". L'arciprete Fabiani, che nel parlare tartagliava, nel sentire questa espressione non potè fare a meno di borbottare un pò forte: "E che... mica tanto !". Nel modo in cui lo disse, gli altri preti Don Checco, Don Tertulliano, Don Romeo ed altre persone che avevano sentito scoppiarono in una risata che, date le circostanze ognuno cercò di reprimere con una mano davanti la bocca. La cosa fece eco perchè il "Petone" era uno dei tanti tipi caratteristici del paese.

Oggi tutto è cambiato, non si recita più neanche il "Miserere" nel tragitto del feretro tra l'abitazione e la Chiesa, è stato abolito persino il "Giro del paese" ed il colore nero in segno di lutto, sia in Chiesa che nel corso della cerimonia.

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La Sepoltura

Al termine della cerimonia in Chiesa la bara veniva posta sopra la portantina di una delle Confraternite (Ogni Confraternita aveva la propria) e con il prete che recitava le orazioni si prendeva la via del cimitero. La salma veniva posta nella camera mortuaria del camposanto e veniva vegliata per una intera notte.

Il becchino "Adamo" preparava la fossa, comunemente detta buca, dove veniva deposta la cassa ricoperta poi di terra. La costituzione del nostro cimitero sembra sia avvenuta verso la fine del secolo scorso ed il primo ad entrarvi fu un certo "Gabrielletto". Successivamente i Mariani, che erano la famiglia più facoltosa, costruirono la propria cappella seguiti poi dai Chiodi e dall'avv. Santovetti.

Lungo il muro del lato est del cimitero vennero stabiliti i posti distinti, sempre in terra, ed ancora oggi possiamo vedere un piccolo monumento a ricordo di due gemelli dell'allora Segretario Comunale Dott. Ternali.

Il lato ovest era riservato per i pozzi comuni.

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Le Cimici

Un tempo l'arredamento delle abitazioni era ridotto all'indispensabile e quel poco lasciava molto a desiderare sotto l'aspetto igienico. Il letto era normalmente composto da un pagliericcio ripieno di foglie di granturco e poggiante su ruvide tavole che a loro volta erano sorrette, nella maggior parte dei casi, da miseri banchetti.

Il pagliericcio aveva più di ogni altra cosa la capacità di attirare un piccolo e fastidioso animale dall'odore sgradevole: la cimice, volgarmente detta "Puce". Questi animaletti si annidavano un pò dappertutto, ma sopratutto nei letti in copiose colonie.

La notte questi ripugnanti parassiti si attaccavano con un pizzico al corpo umano per succhiare sangue provocando dolore e fastidio.

L'unico modo per eliminarle era quello di catturarle ed appiccicarle su un piccolo malloppo di creta. Con questo sistema se ne uccidevano a centinaia, ma questi parassiti avevano una capacità di riproduzione eccezionale. Con il progresso e sopratutto con la cura dell'igiene, questi animaletti dallo gradevolissimo odore sono completamente scomparsi. Chissà dove si saranno annidati ?

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Le Mosche

Un tempo questi fastidiosi animali, che si dovevano scacciare continuamente di dosso, proliferavano ad una velocità vertiginosa perchè trovavano terreno fertile in un ambiente completamente privo d'igiene. Non si conoscevano ancora gli insetticidi e per debellare le mosche si ricorreva ad un sistema alquanto arcano, ma efficace.

Si preparavano mazzetti di felci o altra verdura che venivano successivamente innaffiati con un'infuso di acqua e zucchero, precedentemente preparato, che risultava molto gradito alle mosche. Questi mazzetti di felci bagnati appesi nei soffitti delle case, dei negozi e dei locali pubblici. Le mosche venivano attirate dal ghiotto infuso ed inevitabilmente restavano prigioniere di quel mazzetto di verdura ricoperto del viscoso preparato.

La sera questi mazzetti pieni di mosche venivano prelevati dai soffitti, infilati in un sacco e con una "Sgrullatina" i fastidiosi animaletti restavano prigionieri. Poi battendo e pestando il sacco si uccidevano. Con questo sistema si eliminavano un'infinità di mosche, ma il giorno successivo ce n'erano ancora di più.

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I Calzolai

Questa era una categoria di proporzioni minori ed i suoi componenti, quasi tutti in stretta parentela, erano: "Momicchio", "Archimede", "Agostinetto", "Giosuè", "Guglielmo e Cornelio". Forse c'era anche qualche altro che non sovviene, l'ultimo calzolaio di Vasanello è stato Roberto Tranfa.

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I Barrozzari

Un tempo vi era uno stuolo di rozzi uomini, il cui compito era quello di lavorare la terra a trazione animale. Ognuno di loro era proprietario di almeno un paio di buoi che venivano usati per arare ed altri lavori simili. Questi animali venivano inoltre utilizzati per il traino di rudimentali carri a due ruote comunemente detti "Barozze". Questi carri venivano utilizzati sopratutto per il trasporto di materiali pesanti.

Questi erano i "Barrozzari":

"Mozzone", Clemente "Patanaro", Eutizio, "Giggetto Porri", "Meco" de' Mancinetto, "Giulietto", "Peppe Bettina", Zeffirino, "Perello", Vincenzo "Cardinale", Federico, "Puppolo", "Tarpano", "Petrelli", "L'Ometto", "Puntella", "Giovannino Fuccellara", Lanno "Grosso", "Pisciavino", "Pietro Girolimo", "Mariuccettari", Antonio "Popo", "Peppe Boccuccia", "Padre Ulerio" e "Valentinaccio".

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I Vinari

Vendettero il vino per proprio conto:

        - La Sig.ra Checca Mariani nella cantina del proprio palazzo.
        - Rutilio nel suo locale in via Dritta, con sopra la scritta "CANTINA PADRONALE".
        - Giovanni Chiodi nella propria cantina in via S. Sebastiano con la scritta "CANTINA DEL PARADISO"
          (Tuttora visibile).

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© Copyright Foto - Andrea Di Palermo - (Dic. 2004)

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Non è specificato invece in quale modo esercitavano il commercio del vino: Orazio, Sestilia, Liborio, "Cucculetto", "Petone", Fulvio, Checcarello, Mattaccini, Gemma e Romanino.

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