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APPENDICE I

La Ceramica Vasanellese nel Novecento
di Giampiero Mecocci

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Se", per citare una frase crociana, solo il giudizio storico "rende possibile il formarsi del pratico proposito e apre la via allo svolgersi dell'azione e alle opposizioni di vero contro falso, di valore contro il disvalore", esso deve anche, e sopratutto, rendere giustizia a quegli eventi che la memoria degli uomini ha dimenticato: il toponimo Vasanello, ad esempio, trova giustificazione nell' "arte dei vasai", un tempo attività economicamente e culturalmente fondamentale e oggi purtroppo quasi completamente perduta.

Quanto, infatti, l'arte della ceramica fosse importante per la nostra comunità lo dimostra l'editto di Giulio della Rovere, signore di Bassanello dal 1534 al 1577, che "propria manu" il 13 Febbraio 1565 scriveva: "Essendo gl'habitatori et gl'homini di Bassanello fondati principalmente nell arte de vasi che volgarmente dicesi delle pignatte e di queste cavando loro il più del vitto et sostenimento, laonde spargendosi il detto exercitio tanto in questo castello, si diminuirebbe di sustantie e di quotidiani emulamenti".

L'attività ceramica vasanellese, però, non è una caratteristica esclusiva di questo periodo: come, sia i reperti del VI e V secolo A.C., ritrovati agli inizi del novecento ed oggi conservati al Museo Archeologico di Firenze, sia la fornace aretina in "Poggio della Mentuccia", testimoniano una antecedente produzione di vasellame a rilievo tipico della nostra zona e di derivazione etrusco-romana; così le lodevoli e coraggiose iniziative di Armando Bonifazi, prima, e di Paolo Misciattelli, poi, dimostrano quanto, non molti anni fa, ancora prospera fosse l' "industria" della terracotta. Proprio le attività artigianali più recenti, che pure dovrebbero essere maggiormente vive nella memoria dei vasanellesi, hanno bisogno di essere approfondite e sottolineate, in quanto sono dimenticate e lasciate alla memoria di pochi, nonostante abbiano contribuito a far conoscere il nome di Vasanello anche fuori dal territorio italiano e abbiano portato, in momenti particolari, capitali e occupazione nel nostro paese.

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Due Artigiani all'Opera (Archivio Archeoclub Vasanello)

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Nell'attribuire, dunque, la dovuta importanza a queste esperienze, va evidenziato il ruolo che hanno avuto le piccole botteghe di artigiani, per lo più a conduzione familiare, in cui "il mestiere" si tramandava da una generazione all'altra, fucine di quelle maestranze che sia il Dottor Bonifazi che il Marchese Misciattelli utilizzarono inizialmente nelle loro fabbriche. Non a caso Roberto Bonifazi, figlio di Armando, nel 1988 così scriveva nel libro dedicato al padre: "nell'edificare lo stabilimento, mio padre si proponeva di qualificare il paese, per elevarne la produzione a rango industriale, perfezionando i prodotti per cui era conosciuto e integrandoli con quelli che lo sviluppo tecnico andava richiedendo. Utilizzare le maestranze esistenti, aggiornandole alle nuove tecniche di lavorazione, nobilitare le materie prime esistenti usate sin dall'antichità (...): questi gli intendimenti ed i propositi di mio padre" [1].

L'attività dello "Stabilimento Bonifazi" fu assai significativa; alcuni manufatti, come i tubi in grès o i suoli da forno, erano di così alta qualità che nel 1923 il Dottor Bonifazi fu invitato ad esporre alla prima Mostra Romana dell'Industria, dell'Agricoltura e delle Arti Applicate quei prodotti per cui, nello stesso anno, fu premiato con il Diploma di Medaglia d'argento dal comitato provinciale delle piccole industrie del Lazio e per cui Bassanello era riconosciuto non solo in Italia ma anche in Cecoslovacchia, Austria e Germania.

La produzione dello Stabilimento, attivo dal 1905 al 1915, però, non raggiunse mai quei traguardi che il suo fondatore si era prefisso: i molti conflitti con l'amministrazione comunale, le numerose incomprensioni con alcuni bassanellesi in particolare e la non realizzazione dell'originario progetto, fondamentale nelle strategie aziendali, della linea ferroviaria Orte-Civitavecchia, per il quale la stazione di Bassanello avrebbe dovuto essere edificata nelle immediate vicinanze dello stabilimento, impedirono alla fabbrica di potersi sviluppare, prima, e di sopravvivere al difficile clima bellico, poi.

Se infatti gli anni in cui il dott. Bonifazi iniziò a produrre furono particolarmente felici per l'industria italiana, tanto, da annoverare nel 1903 ben 1.300.000 addetti nel settore rispetto alle poche migliaia di impiegati quaranta anni prima, nel periodo immediatamente precedente durante il conflitto mondiale si creò un clima di protezionismo non favorevole alle aziende italiane e un conseguente taglio degli investimenti statali nei "prodotti civili" a favore di quelli bellici.

Ne risentirono maggiormente le piccole e medie industrie che, cessate o drasticamente diminuite le commesse statali, nella maggior parte dei casi, come nel nostro, furono costrette a chiudere i battenti.

Come il primo conflitto mondiale era stato uno dei principali motivi della chiusura dello "Stabilimento dott. Bonifazi", così la seconda guerra mondiale, per la difficile reperibilità di articoli civili, fu una delle cause che spinse il professore Paolo Misciattelli, più per passione che per necessità, ad utilizzare le scuderie del Castello per inpiantarvi nel dicembre del 1944 la sua ceramica. Anche il Professore impiegò sin dagli inizi i maestri vasanellesi: alle sue dipendenze furono chiamati alcuni tra i più importanti "cocciari" dell'epoca come Sirio e Antonio Orlandi, Francesco Lannaioli, il cui lavoro era coordinato da Orazio Cristoforo, il primo di una lunghissima serie di direttori forestieri.

Sin dai primi manufatti emerse una delle peculiarità che distinse, e distingue tuttora, la sua produzione da quelle passate: l'altissima qualità del prodotto, dovuta alla diversa preparazione dell'argilla che, seppur con lievi modifiche, era rimasta immutata per secoli.

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Interno della Bottega di un Cocciaro (Archivio Archeoclub Vasanello)

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L'argilla, o "tera" nel lessico dialettale, estratta dalle cave ed essiccata per due-tre giorni, veniva posta a bagno nel "parmento" (una sorta di tinozza) con una quantità d'acqua sufficiente ad eliminare, con un setaccio metallico, gli eventuali granelli di calcare o altre impurità di tipo vegetale e ad avere un impasto morbido che successivamente veniva posto in un frantumatoio a cilindri.

Per rendere il pane di argilla pià omogeneo lo si batteva con un filo di ferro o di ottone ("paletto"), lungo cirva 35 centimetri: si otteneva così l'impasto pronto per essere foggiato meccanicamente, con il tornio, o a mano. In effetti, però, il prodotto finale non era affatto raffinato e, nonostante la lunga lavorazione, risultava ancora granuloso: il Marchese allora aumentò la quantità di acqua in cui veniva sciolta "la tera" che, così, perdeva anche i residui ferrosi e le restanti impurità. L'impasto ottenuto per la perdita di ferro risultava però, poco plastico e perciò di difficile manipolazione: a tal proposito, era necessaria l'aggiunta di silicio in forma di quarzo o di sabbia quarzifera, ottenuta con la tecnica della Chamotte. La Chamotte, al cui lavoro inizialmente furono impiegati due ragazzi poco più che dodicenni, Mario Pieri e Bruno Fabiani, non è altro che frantume di materiale refrattario che, addizionato alla creta, le ridava la giusta plasticità.

Gli articoli di stoviglierie e di servizi prodotti dalla ceramica "Bassanello" erano di così alta qualità da ricevere numerose commesse, che, però, mutata la situazione politica ed economica italiana con la relativa riconversione degli impianti di beni bellici e delle strutture autarchiche, non sarebbero state più sufficienti per la sopravvivenza stessa della fabbrica.

Il Professore decise allora con coraggio di puntare di nuovo sulla qualità del prodotto, sostituendo al secolare uso della terra rossa l'impiego dell'impasto dolomitico bianco, la cui formula chimica era stata ideata proprio dal Marchese che, quindi, docente di Chimica dell'Università "La Sapienza" di Roma, all'interno della sua azienda ricopriva anche il ruolo fondamentale di tecnico ceramico. Questi cambiamenti nella produzione comportarono ingenti investimenti economici: vennero acquistati i più moderni macchinari per la preparazione dell'impasto bianco; si sostituirono il primo forno a legna muffolato dapprima con forno a nafta per la biscottatura ed elettrico per il finito e successivamente con forno a metano.

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Alcuni Manufatti della Ceramica Misciattelli (Collezione Elena Misciattelli)

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A tal proposito interessante è l'anedotto che riguarda l'installazione del forno elettrico, installazione che, dato l'elevato consumo energetico del forno, non sarebbe stata possibile senza un ulteriore allaccio, la cui rudimentalità è ancor oggi visibile, alla cabina Enel (allora sita in via Moddi): le difficoltà pratiche affrontate, oggi sembrano irrisorie, mentre per quegli anni i problemi che il Marchese dovette risolvere furono non poca cosa, se si pensa, ad esempio, che per collegare lo stabilimento alla cabina vennero acquistate a Lugnano, delle trecce di alluminio che per la loro lunghezza causarono non pochi problemi di trasporto.

I maggiori capitali spesi, però, non sarebbero stati da soli sufficienti a garantire quell'eccellente qualità che il dottor Paolo Misciattelli voleva, se non fossero stati chiamati a collaborare artisti che in quel momento rappresentavano il meglio dell'arte italiana: da Marino Mazzacurati, con il suo particolare gusto per il grottesco; al grande maestro del "realismo sociale", Renato Guttuso; da Francesco del Deago a Mimmo Spadini; fino a Giulio Francesconi, il più grande artista vasanellese contemporaneo, particolarmente attratto dall'artigianato toscano del '400 di Nanni di Banco e a cui la critica artistica non ha attibuito il giusto valore.

Nel frattempo, però, alle maestranze locali dalla prima ora e agli artisti e direttori forestieri, succedutisi nel corso degli anni, si aggiunsero altri vasanellesi che, seppur estranei a quel mondo, impararono i segreti e l'arte della "ceramica Bassanello", caratterizzando così, come prodotto locale quegli articoli che tanto successo riscuotevano, sopratutto tra la nobiltà, in tutto il mondo.

Tra i nuovi impiegati il Professor Misciattelli assunse anche delle ragazze, cosa alquanto insolita per i tempi, tra cui inizialmente Ilva Orlandi, Anna Romani, Isabella Pace, Iole Ricci, Elena e Erilde Maracci, Maria Pia Oriana, Angela Pace, Elena Mariottini, Antonietta Ricci, Luigina Caporali, e Cecilia Fabiani, che guidate dal pittore pisano Leggiandro Farnesi impararono a decorare a mano gli articoli della ceramica, aumentandone così, se possibile, la bellezza e la raffinatezza.

Viste le numerose commesse di grandi firme, tra cui ad esempio Tiffany, quelli tra il 1960 e il 1970 furono anni particolarmente eccezionali, conseguenza di una programmazione aziendale sempre mirata al meglio: nel 1951, ad esempio, il dottor Misciattelli aveva assunto come direttore della fabbrica un giovanissimo faentino, Giovanni Massari, (che oltretutto nel decenno in cui risiederò a Vasanello, sarà partecipe attivo nella nostra società, ricoprendo anche ruoli importanti sopratutto nelle attività sportive), convinto che questi, avrebbe potuto avvicinare i suoi operai ai segreti della grande tradizione delle ceramiche artistiche di Faenza.

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Stoviglieria con Bordatura in Oro Zecchino e Soggetti Mitologici su Modello di Mimmo Spadini (Collezione Elena Misciattelli)

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Mascherone su Modello di Marino Mazzacurati
(Collezione Elena Misciattelli)

 

"Le Quattro Stagioni" su Modello di Marino Mazzacurati
(Collezione Elena Misciattelli)

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Oltre che per i numerosi ordinativi, questi anni vanno ricordati anche per gli importanti riconoscimenti istituzionali che l'artigianato vasanellese, sempre più dipendente dalla ceramica, ricevette durante il IV Congresso Eucaristico Interdiocesano del 1963, il maestro Domenico Filesi organizzò con il patrocinio dell'Enal, la prima mostra dell'Artigianato, in cui vennero premiate alcune opere di particolare pregio con due medaglie d'oro e una coppa della Camera di Commercio-Industria-Artigianato-Agricoltura, una medaglia d'oro dell'Enal e una coppa "Iozzelli". Visto il successo ottenuto nella sua prima edizione, alcuni volontari tra cui Mario Pieri, Piero Stefani, Orlando Orlandi e Gabriella Coaccioli, nel 1971 decisero di allestire la II Mostra dell'artigianato, che ebbe un numero tale di visitatori da incoraggiare gli organizzatori, presieduti questa volta dalla Contessa Lia Mariani Bianchi Ninni, a organizzarne una ogni anno. La contessa ebbe a cuore il problema della mostra tanto che riuscì a dare, grazie alla concessione del Palazzo Modio, di sua proprietà, maggiore suggestione all'esposizione, fino a quel momento realizzata presso l'edificio scolastico e a consolidare la manifestazione da un punto di vista istituzionale: furono invitati, infatti, numerosi onorevoli, sottosegretari e Ministri della Repubblica.

Quando nel 1986, la XVII edizione della Mostra dell'Artigianato, per motivi fiscali, chiuse definitivamente, poteva vantare un bilancio più che positivo: quasi quattromila visitatori ogni anno, di cui gran parte non vasanellesi, creando così un notevole gettito economico; esposizioni oltre che di manufatti artigianali, di prodotti tipici locali, di oggetti di alunni delle scuole elementare e media inferiore vasanellesi e di articoli di creatori occasionali, che avevano operato nella ceramica e da essa avevano imparato l'arte artigianale.

Anche la "Ceramica Bassanello", ovviamente, espose i suoi pezzi migliori fino alla VII edizione del 1978, anno in cui venne chiusa: la fabbrica, in effetti, aveva costi di produzione (dei manufatti, veri e propri oggetti artistici più che prodotti artigianali), troppo elevati a causa di una lavorazione che richiedeva accuratezza e tempi lunghi.

Un qualsiasi oggetto, come ad esempio una "semplice" tazza da caffè, aveva un'elaborazione non semplice: prima veniva preparato l'impasto dolomitico bianco che in un secondo momento veniva foggiato nelle forme più varie e sottoposto alla prima cottura; poi il biscotto così ottenuto veniva dipinto minuziosamente nei particolari e infine si procedeva alla "Glacure", cioè al bagno dell'oggetto in vernice piombifera o vetrina, che, dopo la seconda cottura, rendeva il manufatto più bello e resistente agli agenti esterni. La chiusura della ceramica Misciattelli non fu, come ci si attendeva, temporanea ma definitiva, e ancora oggi forte è il rammarico per la fine di quest'esperienza, che pure ha fatto tanto onore alla nostra comunità.

Non possiamo, però, dimenticare quei nostri concittadini, che, affettivamente legati alla ceramica, hanno reso possibile realizzare questo scritto e sognano di rivederla ancora attiva. Con essi noi dobbiamo farla rivivere nel nostro ricordo, nella speranza che "questa utopia" non sia più tale, ma divenga invece una consolante realtà.

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[1] - Roberto Bonifazi: Medico Condotto in Bassanello, ieri. (Cronache 1892-1942) Roma, 1988

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Alcuni Manufatti della Ceramica Misciattelli (Collezione Elena Misciattelli)

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