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Il Castello di Palazzolo

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Il castello di Palazzolo, distante circa tre chilometri da Bassanello, era stato concesso dal papa Alessandro III (1155-1181) insieme con i feudi di Bassanello, Bassano in Teverina e Alliano, a un signorotto di nome Matalone. Quando questi morì se ne impadronirono senza tanti riguardi e se li spartirono tra loro i quattro suoi generi, Casaguerra da Orte, B. da Canale, Rainaldo e laczone.

Era un periodo in cui i successori di Alesandro III dovevano affrontare situazioni piuttosto difficili: lotte interne e antipapi spalleggiati da Federico Barbarossa non permisero a nessuno di essi di esercitare con autorevolezza la loro sovranità e i signorotti locali si rifiutavano di presentarsi a Roma per regolare i diritti di riconoscimento e di investitura.

Ma nel 1198, con Innocenzo III, le cose cambiarono. Appena eletto papa, nel pieno vigore delle sue capacità (aveva appena 39 anni) e già ricco di esperienza politica, si diede immediatamente a riorganizzare lo stato, secondo i principi teocratici proclamati da Gregorio VII, (di tanto la Chiesa è superiore all'impero di quanto il sole è superiore alla luna) e, in questo quadro, fece ricercare i quattro generi di Matalone e lì convocò a Roma per sistemare la loro posizione. Ma costoro, convinti che le cose sarebbero continuate come sempre, nonostante i ripetuti inviti, fecero sapere che non avevano nessuna intenzione di presentarsi ("accedere noluerunt cum exinde fecerimus requiri cosdem"). ma non si erano accorti che, ormai, il tempo della pazienza era finito ("id nolumus in patienta sustinere"). Il papa fece loro sapere che avrebbe aspettato fino alla festa di S. Pietro, che intanto aveva già dato incarico a Cinzio dell'Isola di recuperare, a suo nome, i quattro feudi, e che aveva ordinato agli abitanti del posto di trattare i loro affari esclusivamente con lui; infine, con una apposita bolla del 12 marzo 1212 sollecitò Rainaldo, podestà da Orte, di dare a Cinzio tutto il suo appoggio [1].

Palazzolo non era un castello solitario ma una piccola comunità organizzata, con una chiesa dedicata a San Giovanni, un prete residente e un notaio sul posto, collocato al centro di un territorio assai vasto, diviso in contrade. Il Leoncini [2] ne riporta l'elenco quasi con una nota di sorpresa, tratto da un atto notarile del 1308: "Colle Mozzo, Modigliano, Valle del Colle, Vado Petraiolo (appresso Santa Maria di Luco, territorio di Bassano in Teverina) Valle Rafigliati, Casolini, La selva del comune, Maczone Carpinete: e conclude: tutte queste contrade stanno a Palazzolo".

Era però anche una comunità assai tribolata, spesso ribelle, continuamente assalita, più volte devastata e più volte puntigliosamente ricostruita, e infine definitivamente distrutta. Dopo che Innocenzo III l'aveva riportata alla giurisdizione della Santa Sede, eretta a comune non tardò, prima, a ribellarsi e poi nel 1255 a fare atto di sottomissione a Clemente IV (1265-1268). Caduta sotto la signoria degli Orsini al tempo di papa Nicolo III (1277-1280), fu recuperata nel 1282 da Martino IV (1281-1285) per merito dei Viterbesi che, alla morte di Nicolo III, erano insorti e avevano gettato in prigione i cardinali Matteo e Giordano della famiglia Orsini.

Occupata da nobili romani, Bonifacio VIII (1295-1303) la fece riportare all'obbedienza del papa da Segoccione da Vescelli, e per un pò di tempo visse in relativa tranquillità.

Sulla base di numerosi atti notarili, il Leoncini (Fabrica Ortana, passim) ci offre il quadro di una comunità piccola ma vivace, nella quale la vita civile si svolgeva normalmente nelle forme proprie del tempo: si vendeva e si acquistava, si litigava e si faceva pace, si stipulavano contratti di locazione e di nozze, si facevano testamenti e, molto spesso, si doveva lottare contro signorotti e contro squadroni di soldati di ventura.

Così, nel 1265, nove marzo, Giacomo e Angelo del fu Giovanni di Arnolfo da Palazzolo vendevano al Priore Rainello tre pezzi di terra, uno in contrada Maczone, un altro in valle Cerqueta, un terzo in Valle Ferrata; a sua volta Rainello concedeva loro questi stessi beni in locazione, per tre mensali l'anno, secondo la misura del comune di Orte.

Nel 1304, sede vacante per la morte di Benedetto XI, Puccio Locio di Pietro Cencio diede in affitto a Pietro Stefano di Orte una casa che aveva a Palazzolo (Leoncini, vol. III, pag. 162); nel 1305 Pietro loanni di Palazzolo venne nominato procuratore del governatore della Tuscia, che in quel tempo risiedeva a Montefiascone (Leoncini vol. III, pag. 163); nel 1308, Dario Paconis di Orte diede in affitto a Lello Speranza di Palazzolo alcune sue possessioni nel territorio del castello (ib. vol. III, pag. 167); nel 1324 Giovanni di Silvio di Palazzolo rinunciò al "privileggium fori", cioè alla facoltà di esser giudicato da un apposito tribunale per determinate cause; lo stesso farà l'anno appresso un altro cittadino di Palazzolo, Nicola Notia (ib. vol. III, pag. 170-172); nel 1338, 13 febbraio, il notaro Pietro di Giovanni rogò a Palazzolo, nella chiesa di San Giovanni, alla presenza di cinque testimoni Ortani, un contratto di matrimonio tra Faziolo di Rainello Guidi, un tempo abitante in Orte e ora residente a Palazzolo, e Berto di Buccio, Ortano: il Faziolo prometteva a Berto di dargli in moglie la propria figlia Saita, e costituiva per lei una dote di 280 libre paparine: Berto accettava e si impegnava a porre un'ipoteca dotale sui propri beni non appena fosse entrato in possesso della somma promessa, secondo l'uso e la consuetudine Ortana (ib. vol. II, pag. 173).

Che la chiesa di Palazzolo fosse dedicata a San Giovanni è attestato anche dal notaro Pietro Quondam Cuntii Sorici di Palazzolo in un atto del 18 agosto 1344 (ib. vol. III, pag. 159). Nel 19 aprile 1363, al tempo di papa Urbano V, per gli atti del notaro Francesco Pucio di Meo da Orte, Balduzio Puccio Falcone di Orte vende a Pietro loanni di Palazzolo, allora "abitatore" del Castello di Baucca, quattro pezzi di terra nel territorio di Baucca, contrada le Piane "appresso di beni Ranieri" del Signor Nicola (ib. vol. I, pag. 155 e vol. III, pag. 242). Dal registro del card. Albornoz risulta che Palazzolo aveva subito una prima distruzione, non sappiamo per quale motivo né da quale nemico, ma dal 1364 aveva ricominciato a riprendersi lentamente (cfr. Mons. Mariani: Un cavaliere di Cristo, pag. 43).

Nel 1255, 8 marzo, dinanzi al notaio Pollio Vintii da Palazzolo, in casa sua, e a quattro testimoni, Tedesco di Vegnezio vende a Santuccia Ragnecti, anbedue di Palazzolo, un pezzo di terra posto in contrada Carpineto, al prezzo di un fiorino d'oro in contanti. Nello stesso anno, 27 Ottobre, in Orte, nel convento di Sant'Agostino, il notaio Cristoforo di Angelo Cecchi, alla presenza di 2 testimoni, stende un atto di procura con il quale quattro castellani in Palazzolo, Gianni di Lello Angeloni, Luzio di Tavolone, Angelo di Angeluccio e Pietro di Gianni, nominano Todesco di Vanguzio, loro procuratore, per condurre le controversia che essi hanno nei confronti di prete Castaldo (Leoncini, vol. II, pag. 172).

Negli anni 1367, 1369, 1384 la camera apostolica mise all'asta, al maggior offerente, l'affitto dei castelli di Bassano, Bassanello e Palazzolo. L'ottenne per 150 libre d'oro, l'ortano Sebastiano Nardello, il quale, il primo giugno 1369, completò con 44 fiorini l'acconto già versato per il primo anno, e pagò l'affitto dell'anno corrente con 57 fiorini d'oro.

Nel 1384, per la stessa somma, l'affitto fu preso da Sebastiano Sardelli (Leoncini vol. III, pag. 83 bis). Citando Nicola Della Tuscia (Cronache di Viterbo, carta 30), il Leoncini riporta la notizia che l'anno prima, mentre Giovanni Sciarra occupava Nepi, il governatore di Roma Giovanni di Vico, prendeva Palazzolo, e insieme ambedue la misero a saccheggio e la distrussero (vol. I, pag. 455 e 459; vol. III. pag. 161). Nel 1390, al tempo di Bonifacio IX, il prefetto di Roma pose Giovanni "de castro Palazzolo" come giudice ordinario e notare dell'ospedale dei Raccomandati di Orte.

Dal 1389 al 1404 ci furono momenti piuttosto difficili, per il papato e per tutti gli stati italiani. Nel 1389 era stato eletto papa Bonifacio IX, della famiglia Tomacelli, oggi dagli storici diversamente giudicato: cortese e conciliante nei modi, ma fermo e risoluto nei fatti, avido di danaro, assillato continuamente da problemi finanziari. Si dice che sul letto di morte, a chi gli chiedeva come si sentisse, rispondesse: "Pecuniam si haberem, bene starem". (Se avessi danaro, starei bene !).

Il fatto è che, alla morte di Urbano VI, egli aveva trovato vuote le casse dello stato e le esigenze finanziarie non tardarono a far sentire il loro peso: egli dovette, perciò, prendere provvedimenti talvolta pesanti, non solo per raccogliere danaro ma anche per ridurre in qualche modo il disordine diffuso nei vari centri del Patrimonio, turbati dallo scisma e dalle ribellioni suscitate dall'antipapa Clemente VII.

Per eliminare la potenza dei d'Angiò, che si erano impadroniti del regno di Napoli e per fronteggiare le bande dei soldati brettoni, attestati attorno al lago di Bolsena e nel territorio viterbese, egli aveva affidato al fratello Andrea e ai suoi nipoti il compito di tener testa ai disordini all'interno delle città fuori di Roma. Il Leoncini (vol. III, pag. 171) ci riferisce, in proposito che nella nostra zona non si poteva "far mostre e controlli" sulla consistenza delle guardie, "respecto la guerra che si faceva a Gallese e a Soriano".

I priori di Orte il 19 maggio 1400 inviarono 75 guastatori "con ferri atti a guastare" e posero guardie per tutti i poggi e le torri della rocca di Bassanello e fecero un cambio di guardia: "cassarono Ludovico di Colle, e vi posero Nicolao di Antonio di San Lepido", e inviarono "uomini" a fare guardia "perché s'intendeva" cioè si sospettava, "che alcuni di detto Castello volevano occultamente darlo ad altri", e diedero in affitto tutte le terre e le cose esistenti nel territorio della chiesa di Ponticelli e "le terre e le cose di quelli che erano usciti da Bassanello".

Due interessanti notizie, tratte dal libro dei consigli comunali di Orte, ci riporta il Leoncini nella sua "Fabrica Ortana" (vol. II, f. 173). Nella prima, ci informa che nel 1401 il comune di Orte aveva dato incarico a Cencello Luzio di Palazzolo di "rifare a Palazzolo le bertesche", cioè le torrette di fortificazione sulle mura esterne, per colpire dall'alto gli attaccanti, rimanendo al sicuro. Per questo lavoro ebbe dalla comunità l'esenzione, insieme con la sua famiglia, di tutte le imposte ("gravezze") e pesi reali e personali.

Nella seconda, riferisce che Vestro di Cola di Bassanello supplicava il comune di Orte di "voler stare alla guardia di Palazzolo come gli altri castellani, e chiedeva l'esenzione degli abitanti in loco da "pesi reali et personali", in altri termini, dalle tasse sui terreni e sulle entrate. Da questa notizia il Leoncini trae la conferma che quel castello era allora, certamente, sotto la giurisdizione del comune di Orte. Nel gennaio 1401 si aprì, per un breve tempo, uno spiraglio di pace e a Orte "se ne fece allegrezza" (Leoncini vol. II, f. 172). Il 25 febbraio, Ventura di Bevagna, locotenente di Andrea Tomacelli, fratello del papa, pose a "Maestro" della rocca di Bassanello Pietro di Palazzolo e stabilì che i priori di Orte dovessero dare a lui e ai suoi soldati 13 fiorini al mese; tolse le guardie "di notte e di giorno" dai poggi e dalle torri ed emanò un editto, che fece attaccare alla porta di Bassanello, in cui ordinava agli abitanti di avvertire tutti i fuoriusciti di ritornare nel castello entro un mese, pena la confisca dei beni mobili e stabili a favore "della camera di detto Marchese".

La pace, purtroppo, fu di breve durata. "Disprezzando le paci fatte, scrive il Leoncini (ib.), Ministeo, nipote di Verrocchio di Baucca. insieme con i figli di Vanni Evangelista (quello che aveva la casa delle Colonne, al Poggio, bollata poi, dopo la sua cacciata, come la casa di Giuda) e altri loro amici, introdussero in Orte Giovanni Colonna con molti sgherri, che uccisero due cittadini ortani, Egidio Puccetti e Menico Corpopassi. Il papa Bonifacio IX "li maledisse" e li dichiarò "in perpetuo ribelli della Santa Chiesa, interdisse Palestrina e Gallese e promosse una crociata contro di loro. Nel 1401 li assolse però della scomunica e concesse loro il vicariato di Gallese e il porto sul Tevere (Leoncini vol. II, f. 198). Pochi anni dopo, Giovanni e Nicolò Colonna furono fatti prigionieri da Paolo Orsini e gli dovettero cedere il castello di Gallese. Ebbe inizio, da quel momento, un periodo di tempo sciagurato, che durò, pur con alcune pause, per quasi tutto il secolo: divisioni, scontri, risse e uccisioni non solo nell'interno delle città, ma in tutto il territorio circostante. Anche Bassanello e, soprattutto Palazzolo, che era sotto la giurisdizione di Orte, ne furono coinvolti. A controllare la situazione, si era portato a Orte Andrea Tomacelli, insieme con la moglie (Leoncini vol. III, f. 10).

La comunità lo accolse con rispetto, lo alloggiò in vescovado e gli donò 50 ducati e una tela di lino. Le cose si aggravarono ancora quando a Bonifacio IX successe il card. Cosma Maliorati da Sulmona, che prese a nome di Innocenzo VII (1404). Potè esser incoronato solo un mese dopo, essendo i luoghi più importanti di Roma, il Vaticano, Castel Sant'Angelo e il Campidoglio in mano agli insorti, capeggiati dei Colonnesi. Chiamato da costoro a mettere ordine, venne da Napoli Ladislao di Durazzo che si presentò come vassallo del Papa. In pochi giorni riuscì a fare un accordo che prevedeva in Campidoglio, accanto al senatore, l'insediamento di 10 governatori e l'incoronazione del Papa in San Giovanni in Laterano. La calma durò ben poco.

Il papa si dimostrò subito una figura "mediocre, debole e accentuatamente nepotista" e non volle sentir parlare di incontrarsi con l'antipapa Benedetto XIII, per ricomporre lo scisma, che per i Romani era il problema più importante da risolvere subito, se si voleva ridar respiro alla città. Fu ricoperto, per questo, da insulti da parte di una delegazione popolare di quindici membri, che si erano proclamati rappresentanti del popolo. Dinanzi a questa scomposta scenata, il nepote Ludovico Meliorati perse il controllo di sé, e di quei quindici delegati ne fece uccidere undici, alcuni dei quali del tutto innocenti. Ne derivò una violenta reazione popolare che costrinse il papa a fuggire a Viterbo.

Anche nella nostra zona la tensione era grave. Nel 1405, essendo la comunità Ortana turbata e non essendovi possibilità di eleggere i Priori, il vescovo Paolo Alberti e altri nobili cittadini si riunirono in casa di Verrocchio Pandolfini nel castello di Baucca e scelsero essi stessi, a nome del Tomacelli, cinque cittadini con il titolo di governatori, ai quali, "per il pacifico stato delle città", diedero autorità di "fare e disfare, punire i malefattori e fare le paci". E poiché il borgo era stato "affatto scaricato, ruinato et derelicto", diedero incarico a 10 uomini, con a capo Verrocchio, di ripararlo mentre la comunità esentò "da ogni peso" gli abitanti perché tornassero ad abitarvi. Le conseguenze economiche e giuridiche di così gravi disordini non tardarono a farsi sentire.

Raddoppiò il prezzo della carne ("il quatrino della carne") e si impose la necessità di ritoccare ancora una volta lo statuto, già rinnovato nel 1395 (Leoncini vol. III, f. 249; vol. II, f. 40 e 188). Nei mesi di maggio e giugno e durante la mietitura furono assoldati ("pigliati") 20 uomini forestieri per la guardia della città, con l'obbligo di stare sempre in piazza (Leoncini vol. III, f. 249).

Innocenzo VII tornò a Roma nel marzo del 1406, piuttosto malandato a causa di una paralisi che lo aveva reso inabile per metà. Ciò nonostante, riuscì a riordinare a Roma l'università della Sapienza a istituire (e forse questo fu il provvedimento più importante del suo pontificato) la cattedra di "lingua greca e de suoi scriptori", e a chiamare a far parte della curia famosi umanisti come Leonardo Bruni e Pier Paolo Vergerio.

Nel maggio di quello stesso anno, i Colonnesi avevano occupato il castello di Baucca, ma poco dopo erano arrivate a Orte "le genti del papa" con a capo Ludovico Meliorati, che era diventato signore di Orte al posto di Andrea Tomacelli, con l'incarico di fare le paci con i fuoriusciti. Per precauzione, la comunità pose le guardie a tutte le torri anche a Palazzolo, mandò cento guastatori a Gallese (Leoncini vol. III, f. 250) e proibì di comprare bestiame "dalle genti di Gallese, di Soriano e dai feudi dei Colonna e dei Savelli".

Papa Innocenzo VII morì il 6 dicembre di quello stesso anno. Gli successe il veneziano Angelo Corner con il nome di Gregorio XII, un ottantenne "tutto pelle e ossa" ma pieno di energia, attivo e deciso. Impegnato a ricomporre lo scisma d'occidente, fu costretto a stare molto spesso fuori Roma, ma nei momenti più agitati e turbolenti fece sentire la sua presenza ferma e risoluta. Nel 1407 era venuto a porre la sua residenza in Orte Ulisse Orsini e si era stabilito nel Vescovado, che durante la sua permanenza prese fuoco e fu "rifatto" a spese della Comunità (Leoncini vol. III, pag. 251; vol. I, f. 146) ma la sua presenza fu di breve durata e venne a sostituirlo suo fratello Paolo. Tra il marzo e l'aprile del 1407 ci fu "la prima novità" cioè il primo tentativo di rivoluzione. Il papa Gregorio XII ordinò di scacciare dalla città "tutte le genti" cioè tutti i forestieri e tutti gli intrusi che si erano accasati e di non accogliere ("non si ricetti") "alcuna sorte di genti armate, senza suo speciale mandato (Leoncini vol. III, f. 251).

Il moto si smorzò quasi subito e tra il Papa e Paolo Orsini sembrò che si riuscisse a stabilire un accordo che riportasse un po' di ordine nella zona: il papa lo avrebbe perdonato per tutto il male che aveva fatto a Orte e a Bassanello, ed egli, a sua volta, prometteva al papa di restituirgli, e di non accogliere ("recettare") per l'avvenire "alcuna sorte di gente armata, senza suo speciale mandato" (Leoncini vol. I, pag. 484; vol. III pag. 251). A seguito di questo compromesso, nel 1408 Paolo Orsini fu nominato dal Papa capitano generale della Chiesa e, insieme con la moglie Rita de Sanguine si insediò a Orte come "padrone" anche di Bassanello e di Bomarzo (Leoncini vol. II, pag. 405).

Per qualche anno, pur con qualche scaramuccia qua e là, ci fu una certa calma. Nell'agosto del 1416 Paolo Orsini si scontrò a Foligno con "la gente" di Braccio di Montone e di Tartaglia, e lì fu ucciso da Ludovico Colonna che stava al soldo di Braccio. La signora Rita, che alloggiava ancora in Vescovado a Orte, chiuse i conti ("fece finale quietanza di ogni amministrazione") con ser Ludovico Clemente di Orte e se ne andò.

Durante tutte queste vicende, a Palazzolo, che seguiva le sorti di Orte, la vita doveva esser ridotta al lumicino.

Il Leoncini, citando il libro dei consigli dell'anno 1411-1412 cap. 19 e cap. 152 menziona il nome di una sola persona, Famiano Egidii di Palazzolo, senza indicare il motivo per cui lo cita. Solamente qualche anno dopo Palazzolo torna ad esser rammentato negli atti ufficiali con una certa frequenza che sta a testimoniare la ripresa di una vita interna sociale ed economica.

Nel 1425 il notaro Ser Antonio Quondam menziona un certo ser Giovanni da Palazzolo (anche qui senza indicarne il motivo) e ricorda che Egidio da Palazzolo "piglia in società" 45 capre da loanni di Bartolomeo di Vecchiarello di Orte (Leoncini vol. III, pag. 180).

Ma assai più importante, per le sorti politiche della piccola comunità è, la notizia riportata in un "breve", cioè un decreto del primo aprile 1415, in cui l'antipapa Giovanni XXIII dona in feudo con il titolo di Conte, il contado e la torre di Palazzolo, "luogo della diocesi di Orte", al nobil uomo laco Quondam filio di Marco, "miles" nato a Siena, e ai suoi discendenti "nati e da nascere" in cima mascolina, diretta e legittima, con tutti i diritti a lui concessi, doni e privilegi soliti, purché però giuri fedeltà a lui e a un suo procuratore "in mano del Vescovo Antonio senese, tesoriere della Camera Apostolica".

Molto probabilmente tale donazione non dovette andare in porto.

Il 20 maggio 1415 Giovanni XXIII fu deposto d'autorità insieme con l'altro antipapa Benedetto XIII, dal Concilio di Costanza: cercò di fuggire, ma venne in seguito arrestato e, qualche anno dopo, costretto a firmare la sua definitiva denuncia.

Dopo il pontificato di Martino V (alla cui morte nel 1431 gli Ortani insorsero e distrussero definitivamente la rocca, (fatta ricostruire dall'Albornoz nel 1367) dove si era insiedato come tiranno Antonio Colonna, il nipote del Papa, Eugenio IV concesse a Gentile Meliorati da Sulmona il feudo di Bassanello con la clausola che, dopo la sua morte, passasse prima a Giovanni, Cardinale di San Lorenzo in Lucina, e poi ai figli che sarebbero nati da Gentile e Elena fino alla quarta generazione.

Forti di questo "breve", nel 1432, cioè appena pochi mesi dopo l'investitura papale, i signori feudatari promossero una causa al comune di Orte perché anche Palazzolo venisse "restituito" alla dipendenza di Bassanello e cominciarono a promuovere scorrerie nel territorio di Orte con furti di "animali et bestie". La comunità Ortana oppose un risoluto rifiuto a questa pretesa: Palazzolo era stato sempre un castello amministrato e difeso da Orte, "sendo differenza tra la nostra comunità e la comunità di Bassanello" (Leoncini vol. III, pag. 161). L'undici di Novembre 1432 papa Eugenio nominò una commissione composta da Ugone Alberto da Firenze, tesoriere del patrimonio, e da Giovan Pietro da Firenze podestà di Orte, con l'incarico di risolvere ("vedere et finire") una situazione che era diventata ormai pericolosa.

Sfilarono dinanzi a loro testimoni convocati da Bassano, da Bassanello e da Palazzolo, e tutti confermarono che, a loro memoria, Palazzolo era stato sempre amministrato e difeso dal comune di Orte.

Così, Fagliano di Angelo da Bassano testimoniò che "ser Fidenzio", mentre vi abitava 50 anni fa, era stato podestà "nella rocca e nel castello" di Palazzolo, cioè del complesso edilizio fortificato sviluppatesi storicamente attorno all'originario torrione, e quindi diventato centro politico e amministrativo.

Un altro cittadino di Bassano, Naldo Putio, attestò che ser Fidenzio, ser Francesco Grosso, ser Martino di Benedetto, Angelo Vanni et loanni lovannuntio di Orte, sessantenni prima erano stati incaricati dalla comunità di Orte come "castellani et officiali" della Rocca e del Castello di Palazzolo. In una testimonianza assai più ampia e dettagliata, Checco di ser Federico, anch'egli da Bassano, dichiarò che, quarant'anni prima, suo padre era stato castellano e comandante di Palazzolo a nome della comunità ortana e vi morì mentre era ancora in carica. Fu allora che "della roccha et castello" furono presi, saccheggiati e distrutti da Francesco da Vico, ma gli ortani poi li recuperarono e vi posero come castellano Angelo Vanni di Orte; anche nel tempo in cui il "castello" era rovinato, "li Ortani possedevano detto territorio", ed egli fu presente quando di nuovo Ludovico Colonna e Ulisse Orsini lo occuparono "furtivamente" per un certo tempo, ma poi la comunità di Orte lo ricuperò "et da allora sempre lo ha posseduto".

Anche Menico di Pietro, "alias Peteloca", di Bassanello, disse che "la rocca, castello et tenuta" di Palazzolo già da 95 anni erano in possesso di Orte. Li "rubò" il prefetto di Vico [3] ma gli ortani glielo ritolsero e posero come castellano, a nome della comunità ortana, Zello di Bassanello. Confermano quanto i convocati avevano detto anche di abitanti di Palazzolo.

Antonio Manni, detto il Tosto, disse infatti di aver visto come "castellani et officiali" alcuni notari che Naldo Puccio aveva già indicato, e Famiano di Egidio specificò che "gli Ortani et li notari sopra nominati "erano stati "padroni" di Palazzolo e che il "prefetto de Vico", Ludovico Colonna e Ulisse Orsini "lo rubarono e lo "scaricarono furtivamente, e lo tennero due o tre anni, ma gli Ortani subito lo rivolsero".

A seguito questo processo, le cose rimasero come erano: agli Ortani furono riconosciuti i diritti che avevano, ma i signori di Bassanello, e particolarmente la signora Elena Orsini, si accanirono a incoraggiare e a proteggere i loro sgherri nelle continue scorribande e depredazioni nel territorio ortano. La soluzione della controversia si ebbe nel 1452 con un breve di Nicola V il quale, volendo fare "cosa grata" al cardinale Latino Orsini, suo tesoriere e nipote della signora Elena, confermò quanto aveva stabilito Eugenio III, aggiungendo al feudo di Bassanello anche il governo dei castelli di Quercete e di Palazzolo, "con territorio, ragioni et pertinentie".

Dopo questa data, nei consigli comunali di Orte non si fece più cenno del castello di Palazzolo. Solo nel libro dei consigli del 1452 carta 44-45, il Leoncini accenna a un elenco di "nomini eletti per fare il catasto" e tra i luoghi da accatastare trova che sono compresi anche i terreni di Palazzolo.

Dopo questo fuggevole cenno, stupisce che nei consigli comunali non si parli più di Palazzolo, neppure quando esso fu distrutto, come se, per gli ortani, quel castello non fosse mai esistito.

Da chi fu distrutto ? Perché fu distrutto ? Perché tanto silenzio ? Fino ad oggi, tutto questo rimane per noi un mistero. Mons. Mariani in un fuggevole cenno dà per scontato che il castello fu distrutto dai Brettoni che in quella fase avevano fatto tante scorrerie nel territorio. Certo è che nel 1505 di esso non si parlava più come di un castello, ma come di una tenuta, cioè, di un vasto possedimento rurale che Laura Orsini portava in dote nel matrimonio con Nicola della Rovere.

E dovevano essere terreni fertili se nelle aggiunte allo statuto, a proposito dei danni dati, Giulio della Rovere estendeva la pena di 10 scudi, già prevista il 3 aprile 1559, anche a coloro che fossero stati sorpresi a tagliar legna nei boschi di sua signoria nella tenuta di Palazzolo, e pene di uno scudo per ciascuna bestia grossa, di un giulio per una bestia minuta e di tre scudi "se serra fiocca", se fossero state trovate a pascolarvi.

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Vasanello dall'Alto - Viale Marconi (Archivio Archeoclub Vasanello)

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[1] - Il testo della bolla, assai importante anche per altri aspetti, è riportato dal Fontanini "De antiquitatibus Hortae" 1723, pag. 399. Nel linguaggio della Curia romana            
        per bolla papale si intende una lettera del papa autenticata con il sigillo pontifìcio fissato alla pergamena con un filo di seta o di canapa.

[2] - Leoncini vol. III, pag. 157.

[3] - Iaco de Vico, prefetto di Roma, fu ammazzato con accetta nella rocca di Soriano assieme a Corrado Trinci da Foligno. (Leoncini vol. I, foglio 469).
       Cfr. anche Giulio Roscio: Elogi Militari. Vita di Giovanni Vitelleschi.

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